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Le “secche di Vada” seguono il tratto di costa del Mar Ligure compreso tra le  foci dei fiumi Fine e Cecina.e conferisco al fondale profondità molto varie da  una trentina di metri fino a poco più di 2 metri anche a grande distanza dalla  costa. Le secche distano circa 4 miglia dalla costa. Sono segnalate dal Faro  delle Secche di Vada. Anticamente, e fino al 1879, le secche erano segnalate  dal faro posto all'interno della storica torre medioevale  di  Vada costruita dai  Pisani sul finire del XIII secolo.  Da sempre, il particolare fondale ha creato non pochi problemi ai naviganti di  ogni epoca. Testimonianza delle insidie sono i vari relitti di epoca tardo  repubblicana rinvenuti sui fondali vadesi il cui contenuto in anfore, vasi ed altri  reperti è conservato presso il museo di Rosignano Marittimo e  della  Cinquantina, a Cecina. Già nel 1278, per ovviare al problema, venne costruito il primo  faro di mare  che doveva essere soltanto una segnalazione diurna. È nel 1865 però che a 4  miglia a Ovest dalla Punta del Tesorino viene costruito il primo faro su  scogliera riportata in un punto in cui il fondale è appena 2,5 metri. Questo  primo faro a traliccio, con all’apice due piccole stanzette per il fanalista,  diviene automatico nel 1922 per poi venire trasformato nell’attuale struttura in  cemento nel 1959.  Vada fu un l’antico porto naturale di Volterra, già conosciuta nel 330 a.C., poi  ricordata da Cicerone e da altri poeti latini. Divenne , in seguito , rifugio dei  pirati saraceni, impegnati in scorribande sul mare, di cui sono testimonianza  anfore e vasi di terracotta che giacciono sul fondo marino. Le secche di Vada,  tradirono i navigatori in varie occasioni, basti pensare alla notevole quantità di  reperti ritrovati sui fondali marini in questa zona. Al Museo di Rosignano M.mo  a, è possibile vedere un'interessante serie di anfore di vario genere, ceppi in  piombo, macine e altri oggetti di bordo ritrovati proprio a Vada che rimane una  delle località tra le più ricche di reperti archeologici romani di tutto il territorio.  Sulle secche di Vada hanno fatto naufragio, oltre ad molte navi romane, anche  il piroscafo Australia (nel 1875) e ancora prima una nave da guerra americana,  altri importanti e affascinanti relitti giacciono nei fondali in attesa di essere  scoperti o semplicemente visitati da parte dei subacquei che si appoggiano ai  numerosi diving e centri subacquei particolarmente attivi e presenti in questa  zona.  Particolarmente interessante e curiosa un’antica leggenda che parla di  un’antica città di mare distrutta da una catastrofica inondazione/maremoto i cui  resti, in giornate particolarmente favorevoli, qualcuno afferma di aver visto in  mare, la riporto così come l’ho trovata nel web:  Al "bar", durante interminabili partite a carte, tra un "gotto" di vino e una  "pipata" di tabacco, o un "mezzo toscano", i vecchi pescatori di Vada amano  raccontare la "vera storia" delle origini della loro cittadina e di come è nato il  nome. E' gente semplice, come tutta la gente di mare, gente avvezza a  giornate passate in solitudine, tra mare e cielo, in compagnia soltanto dei suoi  "mestieri" e dei suoi pensieri. E in questa solitudine i pensieri diventano  ossessivi, la fantasia un' angoscia ampliata da ancestrali superstizioni. Questa  storia che raccontano, tramandandosela come detto, di padre in figlio,  ampliata ogni volta con qualche particolare in più, abbellita e infiocchettata  secondo la fantasia e l' immaginazione del narratore, è una storia che per loro,  con il passare del tempo diventa sempre più "saga" e sempre meno  invenzione. Ognuno di loro, specialmente dopo i primi bicchieri, è pronto a  giurare sull' autenticità di cose che crede di avere visto o sentito, come strade  lastricate e muri di case sul fondo marino, vicino al "fanale"; oppure, in  giornate di perfetta bonaccia, un suono di campane.   Ecco la storia come la raccontarono una quarantina di anni fa alcuni pescatori  C'era una volta. Tutti, raccontandomela, cominciavano così: c' era una volta...C' era una  volta, dunque, centinaia e centinaia di anni fa, in questa zona, qui, dove ora si trova  Vada, una grande città, così grande che con il suo porto, le sue strade, le sue case,  arriva fino al "fanale". La città si chiamava "Valdivetro". Il porto di questa città aveva dei  moli lunghi chilometri e ai suoi moli ogni giorno arrivavano e attraccavano centinaia di  navi provenienti da tutto il mondo. Con olio, stagno, rame dalla Spagna; stoffe, lana e  legno dalla Gallia; grano dall' Africa; marmi dalla Lunigiana; vasi dalla Grecia; ferro dall'  Elba; spezie e sete dalle Indie. Valdivetro era piena di gente che lavorava, navigava,  commerciava, e si divertiva. C' erano negozi e botteghe artigiane, teatri, terme, banche,  lupanari e chiese.  (Non ho mai capito se l' accostamento dei due ultimi termini fosse  maliziosamente voluto, come a sottolineare che dopo il peccato di lussuria era  necessario il ravvedimento, il rimorso il riscatto per poter rimanere in pace con la propria  coscienza e riconquistarsi la fiducia negli dei. Anche oggi del resto molti operano nello  stesso modo). La vita scorreva quieta e pacifica, ma questa vita troppo spensierata,  troppo facile, fece dimenticare ai cittadini il dovere verso gli dei. Era più il tempo passato  nelle bettole (tabernae), alle terme e nei bordelli, che non quello dedicato al culto, si  concedeva più tempo all' appagamento dei piaceri effimeri, fuggevoli, trascurando lo  spirito, dimenticando i templi, tralasciando di sacrificare agli dei, disimparando le  preghiere. Ma gli dei non dimenticano, e invidiosi, gelosi e indispettiti dalla trascuratezza  della gente di Valdivetro verso di loro, decisero di vendicarsi. Un giorno, nubi gonfie di pioggia cominciarono ad addensarsi all' orizzonte, tutto intorno  alla città. Venti impetuosi cominciarono a soffiare dal mare sollevando onde sempre più  alte che si abbattevano sui moli, il cielo si oscurò, divenne sempre più nero e cominciò a  piovere. Da prima si credette ad una tempesta passeggera, come ce ne erano state in  tempi passati, del resto era la stagione delle piogge, ma passavano i giorni e il vento  non calmava e pioveva sempre più forte. Le scorte dei viveri stavano per finire, la  campagna era allagata e non produceva, navi non ne arrivavano più perché il porto, fino  ad allora sicuro e fidato, era diventato rischioso. I moli principiavano a rovinare sotto la  spinta delle onde, le navi ormeggiate affondavano come barchette di carta, si  preannunciava un tragico evento. Il popolo, sempre più numeroso ora, si raccoglieva nel  tempio a pregare. Ora, ci si ricordava dei torti fatti agli dei, ora, si sacrificavano sui loro  altari gli ultimi animali rimasti, sperando in una riconciliazione, in una pace impossibile.  Però gli dei offesi, voltavano le spalle a Valdivetro. Poi un giorno, tragico, funesto, un  popolano fradicio di pioggia, affannato, stremato da una lunga corsa, entrò nel tempio  mentre il sacerdote era intento al sacrificio, e con voce rotta dal pianto e dall' emozione,  gridò che la furia del mare aveva abbattuto le ultime difese del porto, che onde altissime  stavano rovinando sulla città distruggendola, urlò, piangendo e imprecando, che  Valdivetro se ne stava andando, che si salvasse chi poteva. Un grido di angoscia e di  paura si levò dal popolo raccolto in preghiera, alto il pianto dei bimbi e i lamenti delle  donne imploranti. Solo il sacerdote mantenne la calma e rivolto ai fedeli, esortandoli a  pregare disse: Che sia fatta la volontà degli dei, se Valdivetro deve andare, vada!  Furono queste le ultime parole pronunciate dal sacerdote, prima che tutto venisse  sommerso. Ma non tutti perirono in quell' immane sciagura. Alcuni riuscirono  miracolosamente a sopravvivere. Quando quella terribile tragedia finì, le acque furono di  nuovo calme e il sole tornò a splendere su quelle terre desolate colme di lutti e di rovine,  i sopravvissuti alla tragedia si misero al lavoro impegnandosi a far risorgere dalle rovine  una nuova città. E con questa volontà, ricordando l' ultima parola pronunciata dal  sacerdote prima di morire, giurarono che la città, risorta dalla distruzione e sulle rovine  di Valdivetro, si sarebbe chiamata Vada.Questo, più o meno, il racconto che mi hanno  fatto molti anni fa gli Olivi, i Giovannelli ed altri vecchi pescatori di Vada, o come alcuni  usavano definirli,"i discendenti di quei primi fondatori di Vada, distrutta e risorta mille  anni prima di Cristo" . E mi promettevano che, "una volta o l' altra", mi avrebbero portato sul posto per: "farti  vedere con i tuoi occhi". Purtroppo, una volta perché le acque erano torbe, un' altra perché il tempo non  prometteva niente di buono, o altre cose del genere, la promessa non fu mai mantenuta,  e ora sono morti.  Qualche volta ci sono andato con altri amici, ma probabilmente non abbiamo saputo  individuare bene il posto, e non abbiamo visto niente. Peccato!  http://www.utrtek.it/lue_val_di_vetro-vada.html
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